25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: la violenza economica e di genere in Italia

L’indagine Ipsos, condotta per WeWorld in occasione della Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne 2023, ha esplorato le opinioni degli italiani in merito alla violenza di genere ed economica.

Più di un italiano/a su quattro (27%) pensa che la violenza dovrebbe essere affrontata all’interno della coppia. Il 15% ritiene che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne e il 16% degli uomini, contro il 6% delle donne, pensa che sia giusto che in casa sia l’uomo a comandare.

Il 49% delle donne dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le donne divorziate o separate. Più di una donna separata o divorziata su quatto (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima. Eppure, la violenza economica è considerata “molto grave” solo dal 59% dei cittadini/e.

Queste sono alcune delle evidenze dell’indagine condotta da Ipsos per WeWorld e pubblicata in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne 2023. Il rapporto propone un approfondimento sul tema della violenza contro le donne, con l’obiettivo di far luce su una delle forme di violenza più subdola e meno conosciuta: la violenza economica.

25 Novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne

Ogni anno il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999. Da quel momento in poi Governi, organizzazioni internazionali e ONG sono stati invitati a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.

La data della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne segna anche l'inizio dei "16 giorni di attivismo contro la violenza di genere" antecedenti alla Giornata mondiale dei diritti umani - che si celebra il 10 dicembre - per sottolineare come la violenza contro le donne rappresenti una violazione dei diritti umani. 

La relazione tra violenza di genere e stereotipi

Da ormai un decennio, la consistenza dei segmenti che rappresentano le posizioni dell’opinione pubblica italiana sulla violenza di genere restituisce l’immagine di un Paese spaccato a metà.

Da un lato coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne (esattamente il 50% con una crescita del 2% dal 2014) e assegnano responsabilità collettive alla società; dall’altro chi considera il fenomeno un fatto eminentemente privato (35%), quando non addirittura il naturale risultato di comportamenti provocatori da parte delle donne (15%) che decolpevolizzano l’uomo.

Questa sostanziale stabilità è frutto di un altrettanto stabile livello di tolleranza per i comportamenti oltraggiosi nei confronti delle donne, ad eccezione di uno screditamento di battute e prese in giro a sfondo sessuale e di avance fisiche esplicite: se nel 2014 era il 20% di italiani e italiane a trovarlo accettabile, oggi è il 15%.

Un cambiamento più marcato lo si riscontra nell’adesione agli stereotipi legati al ruolo della donna in famiglia e ai suoi desideri ed aspirazioni: rispetto a dieci anni fa calano di 18 punti percentuali l’accordo sull’idea che per una donna è molto importante essere attraente (oggi al 50%) o che tutte le donne sognano di sposarsi (oggi al 22%).

L’immagine sociale delle diverse forme di violenza

Da quest’ultima rilevazione emerge che le forme di violenza che includono contatto fisico tendono maggiormente a essere considerate “molto gravi”. Il consenso sull’elevato tasso di gravità si riduce invece per tutte quelle forme più subdole e meno conosciute, come la violenza online, economica e verbale.

Non stupisce, pertanto, che quando al campione è stato chiesto di stilare una classifica delle diverse forme di violenza per livello di gravità, prima fra tutte è risultata la violenza sessuale, la più riprovevole per il 50% dei rispondenti.

Seguono, con netto distacco, violenza fisica (25%), violenza psicologica (9%), stalking (3%), violenza verbale (2%), violenza online (1%) e violenza economica (1%). Il restante 9% non sa dare una classifica non riuscendo a fare distinzione quanto a livello di gravità.

La violenza economica in Italia

La violenza economica è percepita come molto grave solo dal 59% delle italiane e degli italiani, ma le forme in cui essa più presentarsi raccolgono non poche preoccupazioni. L’imposizione di privazioni economiche da parte dell’uomo nei confronti della donna preoccupa il 91% del nostro campione e per un rispondente su tre (31%) è in assoluto la forma più grave di violenza economica.

Segue l’accumulo di debiti da parte dell’uomo a nome della donna (24%), accentuato soprattutto dalle donne separate o divorziate. Il sabotaggio lavorativo raccoglie il 17% delle citazioni quanto a gravità, il controllo delle finanze l’11% e chiude la classifica il rifiuto da parte dell’uomo di contribuire alle spese comuni all’interno della famiglia (6%).

Il restante 11% non è in grado di scegliere quale sia la forma di violenza economica più grave tra quelle elencate, quota che sale al 18% tra le donne separate o divorziate.

Secondo il 49% dei cittadini le donne sono più spesso vittime di violenza economica perché hanno meno accesso degli uomini al mercato del lavoro e una possibile soluzione potrebbe risiedere nel riconoscere alla donna la cura della casa e dei figli come un vero lavoro, ricevendo legalmente parte delle entrate (52% di accordo).

Da sottolineare, tuttavia, la percezione che non ci sia poi niente di particolarmente negativo se in una coppia l'uomo dà un budget mensile alla donna che non lavora, a pensarlo il 42% dei cittadini con pari intensità tra uomini e donne. 

Rispetto all’esperienza diretta di violenza economica, il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito nella vita almeno un episodio di violenza economica.

Doversi giustificare a voce con il proprio partner per come si sono spesi i soldi è la dinamica più citata (15%); un altro 11% di donne ha dovuto giustificare le spese con il proprio partner anche mostrando scontrini, ricevute o estratti conto. Il 14% ha dichiarato di aver subito, almeno una volta nella vita, decisioni finanziarie prese dal proprio partner senza essere consultata prima. Una sua dieci (11%) si è vista negata, da parte del partner, la possibilità di lavorare.

La situazione economica nei casi di separazione e divorzio

In generale, dall’indagine emerge che gli uomini vivono una condizione economica migliore rispetto alle donne e questa distanza si acuisce ancora di più in caso di divorzio o separazione.

Concentrandoci sulle conseguenze economiche post separazione che colpiscono le donne, la più frequente è rappresentata dal non ricevere per niente la somma di denaro concordata per la cura dei figli (il 37% delle donne separata o divorziate lo cita). Una su cinque riesce ad ottenerne solo una parte. Una su quattro avverte difficoltà a trovare un lavoro con un salario sufficiente al suo sostentamento.

Mettendosi invece in una situazione ipotetica di separazione tra coloro che attualmente vivono in coppia, sono soprattutto le donne a pensare che la loro situazione economica peggiorerebbe molto se arrivassero ad una chiusura definitiva del loro attuale rapporto.

L’educazione per contrastare la violenza economica

Un rispondente su tre (33%) si sente veramente preparato relativamente ai temi di competenza finanziaria. La quota di donne che non si sente preparata rispetto ai temi finanziari è più del doppio di quella degli uomini (10% vs 4%).

Parlando della possibilità di introdurre all’interno delle scuole un programma per educare sin da piccoli i bambini e bambine all’indipendenza economica e alla capacità di gestire i propri conti, l’88% del campione sostiene che questa iniziativa debba essere portata avanti partendo fin dalle scuole primarie (elementari e medie).

Percentuale del tutto simile a quella di coloro che pensano sia opportuno introdurre all’interno delle scuole anche un programma per educare sin da piccoli i bambini e bambine all’educazione sessuale e affettiva (89%), di nuovo, fin dalle scuole primarie. A sostenerlo sono soprattutto le donne.

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