Elezioni Europee 2024: i risultati elettorali e le analisi post-voto di Ipsos

Europee 2024: condividiamo i risultati elettorali e le analisi post-voto, a cura del team Public Affairs di Ipsos.

I risultati del voto alle elezioni europee di giugno 2024 si prestano ad una duplice lettura, prendendo in considerazione innanzitutto una prospettiva “continentale”. 

Da un lato, gli equilibri politici all’interno del Parlamento Europeo rimangono sostanzialmente inalterati: le forze che sostengono la Commissione Von der Leyen mantengono la maggioranza assoluta e la “paventata” avanzata della destra radicale non è riuscita a mettere la “maggioranza Ursula” in minoranza.

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Dall’altro lato, però, l’avanzata c’è stata. La crescita delle forze alla destra del Partito Popolare Europeo non può essere derubricata ad una “naturale oscillazione” dei consensi, soprattutto se si guardano i dati in una prospettiva temporale di lungo periodo. 

Al netto dei processi di riorganizzazione attualmente in corso, con la scomposizione e la composizione dei gruppi, le forze euroscettiche e di destra radicale sono cresciute in maniera costante, nell’ultimo quarto di secolo: da circa l’8% (dei seggi) nel Parlamento europeo del 1999 fino a raggiungere il 26% della nuova Eurocamera. 

Fa da contraltare a questa tendenza non solo (e non tanto) il calo del Partito Popolare Europeo – passato nello stesso periodo dal 37% al 26% dei seggi – quanto quello del gruppo dei Socialisti: nel 1994 erano il primo gruppo con il 35% dei seggi, oggi si attestano poco sopra la metà di quel valore (al 19% circa).

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Che ci sia un (epocale) spostamento di equilibri verso la parte destra dell’emiciclo è evidente: le forze del “centrosinistra” europeo, tutte insieme considerate (Socialisti, Verdi e La Sinistra), oggi non occupano neanche un terzo dei seggi a Strasburgo/Bruxelles, e si supera appena il 40% se a questa variegata compagine si aggiungono i liberali di Renew.

Questo “spostamento a destra” negli equilibri politici europei, d’altronde, manifesta i suoi effetti anche all’interno dei singoli Stati membri: già nel 2022 l’avanzata della destra aveva portato alla vittoria di Giorgia Meloni in Italia, ma anche a risultati storici in Svezia e, nel 2023, nei Paesi Bassi. 

In concomitanza con il voto europeo, i belgi a giugno hanno espresso un ampio consenso per le forze di destra e di estrema destra nelle elezioni federali e locali. Ma è soprattutto in Francia, con la decisione del presidente Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale, che l’avanzata della destra ha determinato un vero terremoto politico, non arrivando ad un’affermazione completa solo in virtù delle caratteristiche del sistema elettorale francese e della “desistenza” attuata al secondo turno dalle forze del centro e della sinistra.


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Il voto italiano: astensione da record

Ripercorriamo insieme i risultati delle elezioni europee 2024 in Italia con l’analisi post-voto curata dal team di Ipsos Public Affairs. Ciò che balza, innanzitutto agli occhi, è l’entità dell’astensione: mai, in un’elezione di livello nazionale (Politiche o Europee), l’affluenza era scesa sotto la soglia del 50% nel nostro Paese.

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Parlare di “partito dell’astensione” è sempre molto fuorviante; l’universo del non voto è composto da realtà molto diverse tra loro: elettori del tutto distanti dalla politica, ma anche fenomeni “carsici” di voto intermittente, fluido. C’è poi una componente di “non voto di protesta”, che accomuna cittadini in realtà interessati alla politica (e spesso connotati in maniera chiara dal punto di vista ideologico e valoriale, sia a destra sia a sinistra) ma delusi dall’offerta partitica attuale. Non va trascurato poi anche il fenomeno dell’astensione “involontaria”: cittadini che andrebbero a votare ma sono impossibilitati da limitazioni fisiche, di salute, lavorative, o geografiche (distanza dal luogo di residenza).

Ma il fenomeno dell’astensione ha assunto nel nostro Paese, e non da ora, anche una connotazione sociale sempre più evidente; la profilazione sociodemografica degli astenuti ci indica che, di fatto, gli strati sociali ed economici più in difficoltà stanno “abbandonando” la democrazia: non più solamente la partecipazione politica in senso ampio, ma anche quella meramente elettorale. 

I dati Ipsos ci permettono di stimare che oltre tre quarti delle persone in difficoltà economica non hanno espresso un voto valido alle ultime europee, mentre nel ceto medio-basso l’area del non voto è maggiore del 60% (scende sotto un terzo, invece, tra i benestanti). Si astengono di più i disoccupati, le casalinghe, gli autonomi e i dipendenti a basso livello di qualifica. In generale, le persone meno istruite. Infine, si astengono di più (e anche questa non è purtroppo una novità) le donne.

Il nesso tra astensione e difficoltà socioeconomica si combina e amplifica guardando al tasso di astensione per area geografica: l’area del non voto (astensione più schede bianche e nulle) raggiunge il 58,8% nella circoscrizione meridionale e addirittura il 64,8% nelle Isole.

Questa connotazione sociale del non voto ne alimenta una valenza che è anche politica, impattando in maniera chiaramente diversa sui diversi partiti.

Le performance dei partiti

Movimento 5 Stelle

L’astensione, insieme alla scarsa capacità attrattiva verso nuovi elettori, si rivela essere infatti l’elemento che fa del Movimento 5 Stelle (M5S) il peggior performer di queste elezioni: solo il 43% degli elettori che avevano votato per il M5S alle Politiche 2022 confermano il loro voto alle Europee 2024. Il 44% preferisce non recarsi alle urne. 

La lettura sociale diventa quindi politica nel momento in cui i segmenti sopra indicati (in difficoltà economica, residenti al Sud) rappresentano anche i “bacini” in cui un attore politico (il M5S, in questo caso) è storicamente più radicato: il 50% degli elettori M5S alle Politiche del 2022 si autocollocava in una fascia economica bassa o medio-bassa (contro una media del 36% per gli altri partiti), mentre il 15,4% ottenuto a livello nazionale dal Movimento superava il 20% in tutte le regioni del Sud (tranne l’Abruzzo) con il picco del 34,6% in Campania e valori vicini al 30% in Calabria, Sicilia e Puglia.

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Stati Uniti d'Europa e Azione

Anche l’ex Terzo Polo, per ragioni diverse e legate evidentemente alla sua frammentazione, ha avuto un risultato negativo: gli oltre 2 milioni di voti delle Politiche 2022 si sono divisi in questa occasione più o meno equamente tra Azione, la nuova lista Stati Uniti d’Europa (con una leggera prevalenza della prima) e l’astensione. Flussi in uscita non trascurabili anche verso il Partito Democratico (PD), Fratelli d’Italia (FDI) e Forza Italia (FI).

Centrodestra

Il centrodestra rimane complessivamente stabile, il che va interpretato come un risultato positivo, se si considera la fluidità elettorale che ha caratterizzato l’Italia da almeno un decennio. Se il record dell’astensione è certamente uno degli elementi che caratterizzano in maniera eclatante queste elezioni, l’altro è la sostanziale stabilità dei risultati. 

Le Europee del 2024 sono le prime elezioni di livello nazionale (Politiche o Europee) dal 2009 in cui il partito che ha preso più voti alle elezioni precedenti si conferma in testa: alle Politiche 2013 il M5S strappava il primato al Popolo della Libertà (primo alle Politiche del 2008 e alle Europee del 2009), le Europee 2014 vedono l’affermazione del Pd di Matteo Renzi, scalzato però nuovamente dal M5S alle Politiche del 2018. Alle Europee del 2019 è la volta della Lega, che però viene superata alle Politiche di due anni fa da Fratelli d’Italia. 

FDI si conferma quindi il primo partito anche a queste Europee, soprattutto grazie al “mantenimento” di buona parte del suo elettorato del 2022, anche se risulta ridotta la sua capacità espansiva (pochi flussi in ingresso, essenzialmente limitati alla Lega e a FI). Un risultato quindi positivo, per il partito della premier, che rispetto a due anni fa cresce in termini percentuali (dal 26% al 28,8%) anche se non nel numero assoluto di voti (scende invece da 7,3 a 6,7 milioni). 

Giorgia Meloni ha poi sicuramente centrato il suo obiettivo personale: la sua candidatura in tutte le circoscrizioni ne fa di gran lunga la candidata più votata in assoluto, con oltre 2,5 milioni di preferenze individuali (un valore che supera i quasi 2,4 milioni ottenuti da Matteo Salvini nel 2019 e che, considerata la molto minore affluenza alle urne, può considerarsi in linea con il record storico di Silvio Berlusconi degli oltre 3 milioni del 1999). Quella della Meloni è quindi una leadership sicuramente rafforzata, sia all’interno della coalizione sia rispetto all’opinione pubblica italiana più in generale.

Partito Democratico

Come e anche più di FDI, si espande poco il PD: solo il 21% degli elettori attuali è un elettore “nuovo” (non aveva cioè già votato PD alle scorse Politiche). Una buona metà di questi proviene comunque dal bacino del centrosinistra (a riprova della scarsa mobilità inter-coalizionale del voto). 

Tuttavia, il risultato del PD è estremamente positivo. Grazie ad una bassissima propensione ad astenersi dei suoi elettori “fedeli” è una delle due forze che riesce ad avanzare sia in termini percentuali (toccando il risultato più alto dalle famose Europee del 2014) sia in valori assoluti, guadagnando oltre 250 mila voti rispetto alle Politiche del 2022.

Alleanza Verdi-Sinistra

L’altra forza che cresce, sia in termini relativi che in termini assoluti, è l’Alleanza Verdi-Sinistra (AVS): trattiene i suoi elettori del 2022 (come per il PD, grazie ad un alto livello di mobilitazione) e si espande, attraendo “nuovi” elettori, anche grazie ad alcune candidature di successo (Ilaria Salis, Mimmo Lucano). Insomma, i rosso-verdi combinano tutti gli elementi per un’ottima performance e ottengono oltre mezzo milione di voti in più rispetto alle scorse Politiche, con un balzo in avanti di oltre tre punti percentuali in termini di voti validi. 

I flussi in entrata provengono principalmente dal PD, ma anche dal M5S, da +Europa e da altre liste minori. Interessante anche la capacità di recupero dall’astensione e soprattutto di attrazione del voto dei neomaggiorenni (diciottenni e diciannovenni che nel 2022 non potevano ancora votare).

L’atlante sociale del voto

L’analisi sociodemografica degli elettorati conferma tendenze già viste in occasione delle Politiche 2022, con il consolidamento di alcuni “ambiti di prevalenza” delle diverse forze politiche.

Componente anagrafica 

I giovani premiano il centrosinistra, anche se il PD continua ad avere nelle generazioni dei Boomers e dei Silent (quindi dai 60 anni in su) il suo segmento più favorevole. La Generazione Z (fino ai 27 anni) e i Millennials (28-43enni) hanno in comune una minor propensione al voto per i partiti del centrodestra. Premiano invece AVS e in parte ancora il M5S. Vanno bene anche i centristi di Stati Uniti d’Europa (SUE) e Azione, e tra la GenZ anche Pace Terra e Libertà di Michele Santoro avrebbe superato lo sbarramento del 4%. 

Il centrodestra recupera fortemente tra gli elettori della Generazione X (44-59enni): FDI arriva al 33% e la Lega al 12%, mente il PD crolla sotto il 20% su questa fascia. Tra gli over-60 è testa a testa tra PD e FDI, mentre vanno decisamente male AVS e soprattutto M5S. Non si registrano invece particolari “squilibri” nel voto legati al genere, al netto della già citata maggiore astensione delle donne.

Componente sociale

Le categorie più in difficoltà sotto il profilo economico, educativo, occupazionale sono quelle che ingrossano il dato dell’astensione. In alcuni casi, il M5S funge da “anticamera” del non voto. Era così anche nel 2022 e alle elezioni precedenti: tra gli elettori meno abbienti il M5S rimane il primo partito (con il 26%), e performa significativamente meglio tra i disoccupati (18%), i lavoratori manuali (14%) e le casalinghe (12%). 

La condizione economica dichiarata incide in maniera evidente anche sulla propensione al voto per FI e Lega (cresce al peggiorare dello status economico) e – in maniera esattamente opposta – per il PD e tutto il centrosinistra, forze centriste incluse: i democratici passano dall’essere il primo partito (intorno al 30%) tra i ceti più abbienti ad appaiare FI al terzo posto tra i più indigenti. Sia Alleanza Verdi Sinistra, sia Stati Uniti d’Europa sia Azione ottengono circa il doppio dei voti tra benestanti e ceto medio-alto di quelli che ricevono dalle fasce più in difficoltà. 

Più trasversale, invece, il voto per FDI: tende a cedere qualche punto tra le fasce più povere ma ha nel ceto medio il suo segmento più vicino (col 32%). In parte sovrapponibile anche la dinamica del voto incrociato con il titolo di studio: centrodestra e centrosinistra diventano di fatto perfettamente speculari nel prevalere, rispettivamente, tra i titoli di studio inferiori (fino alla licenza media) e tra i laureati. Il M5S segue un pattern un po’ diverso, mostrandosi più forte tra i diplomati.

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In conclusione, l’ondata della destra radicale c’è stata ma non ha stravolto gli assetti istituzionali dell’Unione. Il dato è però evidente e già in diversi Stati membri l’avanzata della destra radicale ha prodotto effetti “storici”. La tradizionale grande coalizione europea tra popolari, socialisti e liberali guadagna forse un altro quinquennio, ma è chiamata a dare risposte su temi spinosi e ad inseguire un’agenda sempre più influenzata dalla destra.

In Italia tocchiamo un nuovo record di astensione, un fenomeno che – oltre che rappresentare in sé un problema per la qualità della democrazia – assume una connotazione socioeconomica sempre più evidente, segno di un forte distacco dalla politica dei ceti sociali più marginalizzati. 

I risultati elettorali sono caratterizzati da una complessiva stabilità rispetto alle Politiche di neanche due anni fa: FDI cresce leggermente (in termini relativi) e rimane il primo partito nonostante il buon recupero del PD. Stabili FI e Lega, che cristallizzano di fatto gli equilibri dell’attuale compagine di governo. Molto male il M5S, che subisce più di tutti l’effetto dell’astensione. 

La frammentazione si rivela un disastro per le forze centriste, entrambe tagliate fuori dall’Europarlamento. Molto bene invece AVS, che aumenta del 50% i propri voti del 2022 e sfiora il 7%, candidandosi ad un ruolo più rilevante nel costruendo “campo” del centrosinistra.

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