Gli italiani e la D&I: tra consapevolezza sociale e ritardi aziendali

Ricerca Ipsos Doxa: solo il 18% delle aziende ha programmi DE&I attivi, ma il 76% degli italiani ne chiede il mantenimento

La nuova ricerca Ipsos Doxa sulla percezione della Diversity, Equity & Inclusion in Italia restituisce un quadro di particolare complessità che merita un'analisi approfondita. Come spesso accade quando indaghiamo temi sensibili che toccano i valori profondi della società, emergono apparenti contraddizioni che in realtà rivelano le stratificazioni culturali del nostro Paese. 

Il primo dato che colpisce riguarda il livello di familiarità con i temi DE&I. Quando chiediamo agli italiani se hanno sentito parlare di diversità, equità e inclusione negli ultimi mesi, scopriamo che il 54% risponde affermativamente, anche se con intensità diverse: il 18% ne ha sentito parlare molto, il 36% solo un po'. 

Questo significa però anche che la restante metà di italiani, il 46%, vive in un contesto informativo dove questi temi sono assenti o completamente sconosciuti. Di questi ultimi, il 27% del campione, più di uno su quattro, dichiara addirittura di sentire nominare questi concetti per la prima volta. 

Eppure, e qui emerge il primo elemento interessante, il 73% del campione dimostra di comprendere il tema. C'è quindi una conoscenza implicita, non verbalizzata, che supera la mera esposizione mediatica. Questa dinamica diventa ancora più evidente quando ci concentriamo sulla popolazione lavorativa: tra i lavoratori intervistati, il 79% si dichiara interessato ai temi DE&I, con un 27% molto interessato e un 52% abbastanza interessato. 

La percezione delle disuguaglianze come dato strutturale 

Il cuore della nostra indagine riguarda la percezione delle disuguaglianze nel Paese. Qui i numeri parlano con una chiarezza che riscontriamo anche in altre ricerche: il 74% degli italiani ritiene che nel nostro Paese non tutti i cittadini godano degli stessi diritti. Non si tratta di una maggioranza risicata, ma di tre italiani su quattro che riconoscono l'esistenza di disparità strutturali nella nostra società. 

Quando approfondiamo quali siano le categorie percepite come più discriminate, emerge una gerarchia molto precisa. Al primo posto, con il 44% delle indicazioni, troviamo le persone con disabilità fisiche. Seguono le persone lesbiche, gay e bisessuali con il 35%, gli immigrati con il 33%, e le persone transgender o non binarie con il 31%. È significativo che gli anziani, in un Paese che invecchia rapidamente come il nostro, siano indicati dal 29% del campione, mentre le donne, nonostante i progressi degli ultimi decenni, sono ancora percepite come discriminate dal 28% degli italiani. 

Un dato che merita particolare attenzione riguarda la salute mentale, indicata dal 28% del campione come area di discriminazione, al pari di quella delle donne, a testimonianza di una crescente sensibilità verso temi a lungo rimasti tabù nella nostra società. Al contrario, solo il 4% indica gli uomini come categoria discriminata, dato che dovrebbe far riflettere rispetto a certe narrazioni emergenti sul presunto svantaggio maschile nella società contemporanea. 

L'efficacia percepita dei programmi aziendali: un bilancio incerto 

Quando passiamo ad analizzare la conoscenza e l'efficacia percepita dei programmi aziendali di DE&I, il quadro si complica ulteriormente. Il 60% degli italiani ha sentito parlare di questi programmi, ma solo il 20% sa realmente di cosa si tratti, mentre il 40% ammette una conoscenza superficiale. L'efficacia percepita di questi programmi rivela un sostanziale pareggio tra ottimisti e pessimisti. 

Per quanto riguarda il miglioramento della situazione delle donne, il 43% vede progressi mentre il 37% non ne rileva, con un significativo 20% che non sa esprimersi. Percentuali simili emergono per le persone LGBT, dove il 39% vede miglioramenti contro il 36% che non ne percepisce, e per le persone con disabilità, con il 41% di giudizi positivi contro il 39% di negativi. 

Questi dati suggeriscono che, almeno nella percezione pubblica, l'impatto dei programmi DE&I non è ancora chiaramente visibile o quantificabile. Tuttavia, quando analizziamo le risposte di chi lavora effettivamente in aziende con programmi DE&I attivi, il quadro cambia radicalmente. 

L'esperienza diretta ribalta la percezione 

Tra i lavoratori del nostro campione che operano in aziende con programmi DE&I strutturati, i giudizi sono nettamente positivi. Il 72% riporta un impatto positivo sul proprio benessere lavorativo, il 74% sulle relazioni con i colleghi, il 73% sul senso di appartenenza aziendale e il 71% sull'immagine dell'azienda verso i clienti. 

Questa discrepanza tra percezione generale ed esperienza diretta è uno degli elementi più significativi della nostra ricerca. Suggerisce che il problema non sia l'inefficacia dei programmi, ma la loro limitata diffusione: solo il 18% dei lavoratori intervistati opera in aziende con iniziative DE&I strutturate, mentre il 48% conferma l'assenza di tali programmi e il 34% non ne è nemmeno a conoscenza. 

Le aspettative verso il mondo aziendale 

Nonostante le perplessità sull'efficacia, gli italiani mantengono aspettative elevate verso il ruolo sociale delle imprese. Il 57% ritiene che le grandi aziende italiane dovrebbero occuparsi di promuovere programmi DE&I, il 49% lo chiede alle multinazionali e il 44% anche alle piccole e medie imprese. Solo il 24%, una minoranza consistente ma non maggioritaria, ritiene che non siano le imprese a doversi occupare di questi temi. 

Quando chiediamo su quali specifici ambiti le aziende dovrebbero impegnarsi, emerge un consenso trasversale su diverse tematiche. Il 78% degli italiani approva l'impegno aziendale sui diritti umani e gli standard lavorativi, il dato più alto della nostra rilevazione. Seguono con il 73% sia la parità di genere che la lotta al cambiamento climatico, mentre il 69% sostiene l'impegno contro la discriminazione etnica e il 66% quello per i diritti LGBT. 

L'impatto sui comportamenti di consumo 

Un aspetto cruciale per comprendere la rilevanza strategica della DE&I emerge dall'analisi dei comportamenti di consumo. Se un'azienda annunciasse la fine dei suoi programmi di diversità e inclusione, il 45% degli italiani sarebbe meno propenso ad acquistare i suoi prodotti o servizi, contro solo il 17% che sarebbe più propenso. Il 22% dichiara che non modificherebbe il proprio comportamento, mentre il 16% non saprebbe valutare. 

Parallelamente, il 61% degli italiani dichiara di avere un'immagine migliore delle aziende che dimostrano di essere rappresentative della diversità sociale, contro solo il 9% che ne ha un'immagine peggiore. Per il 30% questo aspetto risulta neutro. Questi dati indicano che la DE&I non è solo una questione etica o di responsabilità sociale, ma ha implicazioni dirette sulla reputazione aziendale e potenzialmente sui risultati di business

Il contesto internazionale e la specificità italiana 

La nostra ricerca ha anche indagato la consapevolezza degli italiani rispetto ai recenti sviluppi internazionali. Il 68% non è a conoscenza del fatto che grandi aziende americane come Google, Disney, McDonald's e Meta stiano riducendo o eliminando i loro programmi DE&I. Tra il 32% che ne è informato, le interpretazioni sono varie ma significative: il 43% attribuisce questa svolta al desiderio di compiacere l'amministrazione Trump, il 26% alla volontà di evitare polemiche, mentre solo il 21% pensa che derivi dalla constatazione dell'inefficacia dei programmi. 

La valutazione di questa tendenza americana è nettamente negativa: il 63% degli italiani informati non la vede di buon occhio, contro solo il 22% che la vede positivamente. Questo sentimento si traduce in una chiara indicazione per le aziende italiane: il 76% del campione ritiene che sia le grandi imprese che le PMI italiane dovrebbero mantenere i loro programmi DE&I, contro solo il 24% che suggerirebbe di seguire l'esempio americano. 

La discrepanza tra la percezione generale tiepida e l'esperienza positiva di chi vive questi programmi suggerisce che il problema principale non sia l'efficacia delle iniziative, ma la loro scarsa diffusione e, probabilmente, una comunicazione inadeguata dei risultati raggiunti. Il fatto che tre quarti degli italiani riconoscano l'esistenza di disuguaglianze nel Paese e che una maggioranza altrettanto ampia chieda alle aziende di non abbandonare i programmi DE&I, nonostante le tendenze internazionali, indica che esiste uno spazio significativo per politiche di inclusione autentiche e ben comunicate

Come sempre accade quando studiamo fenomeni sociali complessi, i dati non forniscono risposte univoche ma piuttosto delineano il campo delle possibilità. In questo caso, ci dicono che l'Italia è un Paese che sta ancora elaborando il proprio approccio alla diversità e all'inclusione, con ritmi e modalità che non necessariamente seguono i modelli internazionali. 

Le aziende che sapranno interpretare questa specificità, evitando sia il mero import di modelli esterni sia il rifugio in posizioni di retroguardia, avranno probabilmente maggiori possibilità di successo nel costruire ambienti di lavoro inclusivi e nel conquistare la fiducia dei consumatori.

Notizie correlate