Smart Working: come evolve con l’AI?

L'indagine Ipsos Doxa, condotta per l'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, fotografa la trasformazione del lavoro agile nell'era dell'intelligenza artificiale.

In un Paese in cui la popolazione attiva tende a ridursi e invecchiare, lo Smart Working rappresenta una leva strategica per sostenere la competitività e rendere il lavoro più sostenibile. Se interpretato non solo come flessibilità operativa ma come stimolo continuo al miglioramento organizzativo, può diventare un alleato dell’innovazione tecnologica e contribuire a un’evoluzione positiva del modo di lavorare.

In questo scenario, l’Intelligenza Artificiale introduce una sfida cruciale che rischia di generare la percezione di sostituibilità delle persone, con effetti negativi su motivazione ed engagement. I manager sono quindi chiamati a utilizzare lo Smart Working come leva per costruire fiducia nell’impatto positivo delle tecnologie, promuovendo un modello di lavoro capace di coniugare innovazione, benessere e sviluppo delle competenze. 

Lo Smart Working diventa così non solo una modalità operativa, ma un ecosistema culturale in cui autonomia, collaborazione e senso di responsabilità si integrano per migliorare la qualità del lavoro e la sostenibilità delle organizzazioni. Secondo la ricerca “Lo Smart Working ai tempi dell’AI: opportunità e sfide verso il lavoro del futuro”, che abbiamo condotto per l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, questa trasformazione è già in corso.

Il lavoro agile in Italia è ormai una realtà consolidata, soprattutto nelle grandi imprese, dove i modelli ibridi – basati su un equilibrio tra presenza e remoto – sono diventati la norma. La vera sfida oggi non è più “se” adottare lo Smart Working, ma come farlo evolvere, evitando che si cristallizzi in routine poco innovative e favorendo invece una tensione costante al miglioramento.

I numeri dello Smart Working

L’opportunità dello Smart Working continua ad essere utilizzata dai lavoratori con assiduità. Nelle grandi imprese, solo il 15% dei lavoratori lavora da remoto meno giorni di quelli previsti dall’accordo con l’organizzazione, soprattutto per la necessità di recarsi in sede per urgenze o emergenze. Nelle PA lo fa il 28%, soprattutto per scelte personali. Nelle PMI la situazione è eterogenea: circa metà lavora da remoto per i giorni definiti dall’accordo, il 22% utilizza di meno questa possibilità, ma c’è anche un 15% che la usa di più, visto le maggiori deroghe possibili con l’approccio informale. 

Ma lo Smart Working non ha ancora raggiunto il picco massimo. Tra coloro che non lavorano da remoto, il 21% dichiara che potrebbe svolgere almeno metà delle attività da un luogo diverso rispetto alla sede aziendale con la stessa efficacia e la stessa dotazione tecnologica: questo permette di ipotizzare un potenziale di circa 3 milioni nuovi smart worker, che ci avvicinerebbero al picco di 6,5 milioni toccato durante la pandemia. 

Mentre si diffonde ulteriormente, in futuro lo Smart Working potrebbe allargare la platea di lavoratori beneficiari della flessibilità. Per coloro che non lavorano da remoto, la forma più desiderata di flessibilità è quella oraria e, come declinazione di questa, la settimana corta, che oggi è presente solo nel 10% di organizzazioni di grandi dimensioni e in molti casi è ancora in fase di sperimentazione.

I modelli di Smart Working

Analizzando i modelli Smart Working, quello prevalente in Italia è “ibrido”, in cui si alterna presenza in sede e lavoro da remoto, mentre il “full remote” è presente solo in poche realtà, soprattutto di piccole dimensioni e del settore dei servizi. 

Ci sono però diversi approcci di lavoro ibrido. Il più diffuso è quello strutturato, in cui le persone alternano il lavoro in sede e da altri luoghi rispettando policy definite. Meno frequenti sono gli approcci basati su linee guida non vincolanti definite dall’organizzazione, che suggeriscono solo un numero ideale di giornate di lavoro in sede, o quelli a libera scelta del lavoratore. 

Gli approcci all’applicazione dello Smart Working

Anche l’applicazione delle policy sullo Smart Working può avvenire in diversi modi: il 36% dei lavoratori che hanno possibilità di lavorare da remoto dichiarano di scegliere in completa autonomia i giorni di presenza in funzione dei loro bisogni (approccio individualista), il 32% dichiara di farlo sulla base di indicazioni fornite dall’organizzazione (approccio centralizzato), mente per il restante 32 % la scelta avviene a livello di team bilanciando le esigenze individuali con quelle organizzative (approccio collaborativo). Proprio quest’ultimo approccio “collaborativo” risulta essere quello correlato ai migliori risultati in termini di engagement, prestazioni organizzative e benessere dei lavoratori.

Tra i white collar, il livello medio di engagement di coloro che utilizzano un approccio collaborativo nell’organizzazione delle giornate da remoto è 6,65 (su una scala da 1 a 10) rispetto a 6,14 per coloro che non hanno autonomia decisionale e 6,05 per coloro in cui a guidare è la scelta personale. Chi ha un approccio collaborativo registra più di frequente rispetto agli altri prestazioni “ottime” nel prendere decisioni, nelle comunicazioni con colleghi e capo, nelle attività lavorative. 

L’approccio collaborativo infine ha un effetto positivo sul senso di appartenenza dei lavoratori all’organizzazione. In generale dichiarano un elevato senso di appartenenza il 37% degli Smart Worker, a fronte del l 31% degli altri lavoratori. Tale percentuale sale però al 40% quando l’approccio alla pianificazione è collaborativo, a fronte del 36% per l’approccio centralizzato e del 35% per quello individualista. 

Il diritto alla disconnessione

La difficoltà a “disconnettersi” si conferma essere una particolare criticità per chi fa Smart Working. Tra i white collar, il 35% di chi lavora da remoto soffre di overworking rispetto al 30% di coloro che lavorano sempre in sede. Consapevole del problema, il 49% delle grandi organizzazioni private che hanno progetti di Smart Working sta adottando misure preventive: nella maggior parte dei casi (43%) con fasce orarie per cui i dipendenti non sono contattabili

Sono meno diffuse iniziative più drastiche, come la sospensione delle attività dei server all’interno di una fascia oraria (2%) o il divieto di inviare comunicazioni in particolari orari o giorni (8%). Nel settore pubblico, il 78% delle amministrazioni che ha iniziative di lavoro agile adotta misure per tutelare il diritto alla disconnessione.

AI e nuovo modo di lavorare

I dati della ricerca permettono di mettere in luce come l’intelligenza artificiale stia già avendo un impatto rilevante sui modi di lavorare, cambiando il mix di attività e creando nuove possibilità di autonomia e di lavoro per obiettivi. L’uso di strumenti di Intelligenza artificiale, in particolare, permette di liberare tempo impiegato in compiti routinari e vincolati dal punto di vista dei luoghi e degli orari, che possono essere reimpiegati in attività a valore aggiunto di innovazione e sviluppo di nuovi contenuti. 

Quei lavoratori, ad esempio, come consulenti telefonici o gli addetti al customer care, che passano oggi la maggior parte del loro tempo in attività di interazione sincrona con i clienti, possono con l’AI efficientare le attività di comunicazione diretta con i clienti, liberando tempo da dedicare ad attività di collaborazione e creazione di nuovi contenuti, meno vincolate dal punto di vista degli spazi e degli orari. 

L’AI, dunque, non solo permette di migliorare l’efficienza, ma consente di ridisegnare le mansioni rendendole più autonome e a valor aggiunto e quindi potenzialmente più coerenti con un modello di Smart Working. 

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