Il linguaggio inclusivo e il ruolo della donna nell’advertising nell’ultima ricerca Ipsos

Cosa si intende per linguaggio inclusivo? E quali sono le opinioni degli italiani in merito all'evoluzione del linguaggio e all'adozione di lessico sempre più inclusivo?

Per linguaggio inclusivo si intende un linguaggio libero da parole, frasi o toni che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie nei confronti di determinati gruppi di persone. Questo significa che le parole di un testo inclusivo:

  • Non rafforzano stereotipi di genere.
  • Non sono razziste.
  • Non discriminano le persone in base all’età (quello che in inglese si definisce come ageism).
  • Non sono abiliste (cioè non discriminano le persone con disabilità).

In occasione del “Festival del giornalismo culturale” di Urbino, abbiamo presentato una ricerca in merito all'evoluzione del linguaggio e all'adozione di lessico sempre più inclusivo. Abbiamo quindi coinvolto gli italiani chiedendogli cosa ne pensassero dell’uso della lingua italiana di oggi, rispetto a quello dei loro genitori. Il 23% ha dichiarato che il linguaggio di oggi è più semplice, il 27% che è più informale, mentre la maggioranza con il 28% afferma sia più amichevole.

I dati della ricerca ci offrono uno spaccato che ben rappresenta i veloci cambiamenti della società in cui viviamo e che pone l’attenzione su quali direzioni si percorrono, come ad esempio quello delle derive di odio e violenza che spesso prendono luogo in contesti online. A tal proposito, abbiamo chiesto agli italiani cosa ne pensassero di questa tematica che è diventata un vero e proprio problema sociale: il 38% ha affermato che è una forma grave di violenza verbale, il 36% che le conseguenze di questo tipo di linguaggio si ripercuotono, sulle vittime, in maniera grave nella vita reale. Infine, il 38% ha dichiarato essere un problema legato principalmente alla maleducazione delle persone.

Stereotipi di genere nell'uso della lingua italiana

Dal punto di vista degli stereotipi di genere, nonostante la nostra lingua comprenda due generi, il maschile e il femminile, quello maschile è nettamente dominante.

Spesso il plurale maschile include anche chi non è maschio. Il tema però è oggetto di discussione e le opinioni degli italiani sono divergenti.

  • Il 68% afferma che si tratti di una regola della lingua e che non sia discriminatoria, ma il 32% non è d’accordo.
  • Il 49% ritiene che sia il prodotto della tradizione patriarcale, ma ciò non è condiviso dal 51% degli intervistati.
  • Il 43% crede sia un ostacolo della lingua italiana che andrebbe superato a favore di un linguaggio inclusivo, ma il 57% non è d’accordo.
  • Per il 49% degli intervistati è necessario fare lo sforzo di esprimere sempre la parola al maschile e al femminile per essere più inclusivi e corretti (per esempio: “ciao tutti e tutte”). Invece, poco più della maggioranza (51%) non condivide questa opinione.
  • La maggioranza con il 70% dichiara la questione irrilevante e che le priorità siano altre, ma per il 30% degli italiani non è così.

Un altro dato importante riguarda la declinazione al femminile delle figure professionali quando a ricoprirli sono le stesse donne. La maggioranza degli italiani (50%) afferma che la questione non sia particolarmente rilevante e che le priorità siano altre, mentre il 35% dichiara giusto riconoscere le donne nella società anche attraverso il linguaggio scritto e parlato. Una piccola minoranza (15%) ritiene sia sbagliato: bisogna utilizzare il maschile anche in caso di donne per evitare pregiudizi e considerare tutti nello stesso modo.

E per quanto riguarda i simboli come lo Schwa, l’asterisco o il trattino, solitamente, posti all’ultima vocale di una parola, per indicarne una inclusiva di tutte le identità di genere, cosa ne pensano gli italiani? Il 28% afferma che si tratti di un’esagerazione non facile da comprendere e il 26% che si tratti di una questione irrilevante e che le priorità siano altre. Il 23% ritiene sia una forma di scrittura giusta che semplifica il modo di scrivere e rispetta le differenze di genere e, infine, il 22% non è a conoscenza di queste forme di scritture. Dei risultati che mostrano una parziale sensibilizzazione sul tema e che ci sottolineano come ci sia ancora un importante percorso da fare per rendere la nostra lingua ancora più inclusiva.

Il ruolo di Ipsos per l’inclusione

Ipsos si è impegnata su queste tematiche in maniera attiva già dal 2016, quando l’Association of National Advertisers ha lanciato il movimento SeeHer in collaborazione con The Female Quotient con l’obiettivo migliorare l’inclusività e valorizzare il ruolo della donna nel mondo della pubblicità, nei media e nell’intrattenimento. Per questo, abbiamo implementato le nostre ricerche con lo sviluppo del Gender Equality Measure® (GEM®), la prima metodologia creata per misurare la parità di genere nella pubblicità e nei media e identificare i pregiudizi.

Tale metodologia misura quattro caratteristiche chiave delle donne nella pubblicità: come viene presentato il personaggio femminile, se in modo rispettoso, se in maniera appropriata e se come modello positivo. Un sistema di valutazione creativa con l'obiettivo di aiutare i clienti a capire se i loro annunci ritraggono positivamente le donne e di dare spunti su come possono migliorarne ulteriormente la percezione.

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